Il Teatro di Napoli – Teatro Mercadante ha finalmente iniziato la nuova stagione dal vivo con “Piazza degli Eroi” (“Heldenplatz”) il dramma conclusivo della parabola teatrale di Thomas Bernhard.
Nuovamente illuminato a festa dopo il buio pandemico calato sulla sua sala, Il Teatro di Napoli – Teatro Mercadante, dopo tanti rinvii e ripieghi televisivi, ha finalmente iniziato la nuova stagione dal vivo con “Piazza degli Eroi” (“Heldenplatz”) il dramma conclusivo della parabola teatrale di Thomas Bernhard.
Pubblicata nel 1988 e rappresentata per la prima volta al Burgtheater di Vienna il 4 novembre dello stesso anno con la direzione di Claus Peymann, l’opera scritta dal drammaturgo, poeta e giornalista austriaco circa un anno prima della morte, nello Stabile di Napoli ha riproposto integra tutta quella istigazione da sempre contemplata nel suo teatro.
Con i violenti attacchi nei confronti dello Stato austriaco contenuti nel testo e ancora, con lo storico spunto rappresentato dal cinquantenario dell’annessione dell’Austria alla Germania nazista, nello spazio di piazza Municipio a prendere corpo più viva che mai è stata l’accusa dell’autore pronta a suscitare le reazioni del pubblico.
O meglio, la terribile tesi sostenuta dallo stesso Bernhard circa il ritorno del nazismo e dell’antisemitismo. Presentata nella traduzione di Roberto Menin con la regia di Roberto Andò, la messinscena affidata a un nugolo di attori dalla grande esperienza tra cui un veterano come Renato Carpentieri, ha condotto il pubblico verso un faccia a faccia con una nazione da criticare furiosamente come quella austriaca.
E così, preso atto del divieto imposto dall’autore prima della morte di stampare, rappresentare o leggere in pubblico i suoi scritti in terra d’Austria, “Piazza degli Eroi” al Mercadante ( e per la prima volta in un teatro italiano) ha proiettato in scena quella visione di Bernhard circa l’ assurdità e l’ottusità del mondo.
Da qui la vicenda del suicidio dell’intellettuale ebreo, Professor Schuster, che, tornato a Vienna mezzo secolo dopo l’Anschluss, si lancia dalla finestra perchè incapace di sopportare la situazione materializzatasi dinanzi ai suoi occhi. Un’azione violenta al centro del dramma, pronta a trasformarsi nell’ennesimo motivo di provocazione nel segno del disfacimento della famiglia, dell’incomunicabilità e di quell’eterno senso di inquietudine tipico del teatro di parola bernhardiano.
Ed è stato con queste premesse che, tornando a parlare della regia e della compagnia, tutta la messinscena, nonostante la sua lunghezza, ha beneficiato di uno straordinario ritmo utile nel contrastare la scarsa dinamicità dell’azione.
Di grande valore poetico, nonché ricco di preziosismi stilistici, l’ultimo lavoro teatrale di Bernhard, alla prima napoletana, ha meritato la fervida accoglienza del pubblico. Così come lo straordinario e carismatico Renato Carpentieri nei panni di Robert Schuster il fratello del morto suicida e Imma Villa alle prese, nel primo atto, con un lungo monologo teso ad anticipare il pensiero che fece irritare l’Austria espresso nella commedia.
Completato dagli altri attori Betti Pedrazzi, Silvia Ajelli, Paolo Cresta, Francesca Cutolo, Stefano Jotti, Valeria Luchetti, Vincenzo Pasquariello ed Enzo Salomone, il lavoro che ha beneficiato delle scene e le luci di Gianni Carluccio e dei costumi di Daniela Cernigliaro, ha saputo riprendere con efficacia e garbo l’allarmato grido di Bernhard.
Con la regia di Andò attento nel riportare in vita la collera dell’autore dinanzi al possibile ritorno di una destra fascista o nazista, la rappresentazione, tra citazioni cechoviane e le immagini di una società diretta verso il baratro, si è trasformata in una metafora pronta a divenire realtà. Aggirandosi tra le cento paia di scarpe riproposte in scena e che nella casa museo dell’autore rappresentano una delle maggiori attrattive, gli attori sono riusciti a rendere palpabile il senso di un testo visionario e distruttivo.
Per effetto della forza di una messinscena che, sia pure legata a quella stessa piazza tristemente vicina a Hitler, è capace di andare al di là del luogo e del tempo, ad apparire in palcoscenico come uno spettro shakepseriano è stato il declino dell’intera Europa. Tanto che alla fine, con la chiusura del sipario, è apparso chiaro nelle mente di tutti come “Piazza degli Eroi”, a oltre trent’anni del presagio di Bernhard, potrebbe essere ovunque a due passi da noi.