Il 31 luglio 2019, Primo Levi avrebbe compiuto 100 anni! Il mondo della cultura, ma anche quello del cinema e dello spettacolo, ha voluto ricordare fortemente questo importante anniversario, celebrando l’uomo, lo scrittore, il testimone oculare di uno degli orrori più grandi e inimmaginabili della storia umana: l’Olocausto.
Seguendo la cronologia delle opere di Primo Levi, da Se questo è un uomo a I sommersi e i salvati, ci accorgiamo subito del dolore, della fatica e delle umiliazioni che quest’uomo ha dovuto subire in uno dei momenti più bui e disonorevoli per il genere umano, mentre noi ci siamo limitati solo a studiarne agli avvenimenti storici di un’atrocità vergognosa.
Levi, al contrario, è stato il lucido e tormentato testimone sopravvissuto agli eccidi nazisti, perpetuati nell’inferno dei campi di concentramento, la cui esistenza sembrava tal punto inverosimile, che nemmeno la chiesa mosse un dito per opporsi a tale ignobile martirio.
Tutti sapevano, ma nessuno denunciava ciò che stava accadendo nei campi di concentramento nazisti, delimitati da inquietanti fili spinati percorsi da corrente elettrica ad alto voltaggio. Solo la forza d’animo di un uomo forte e determinato che, grazie alla sua laurea in chimica, riuscì a salvarsi da morte certa, gli ha permesso di poter scrivere e pubblicare uno dei libri più “belli” e complessi del secondo dopoguerra, pubblicato per la prima volta nel 1947, presso una piccola casa editrice di Torino.
Nell’appendice alla seconda edizione scolastica del 1976, così Levi commenta la genesi del suo romanzo/diario più famoso della sua carriera di scrittore: Il libro avevo cominciato a scriverlo là, in quel laboratorio tedesco pieno di gelo, di guerra e di sguardi indiscreti, benché sapessi che non avrei potuto in alcun modo conservare quegli appunti scarabocchiati alla meglio, che avrei dovuto buttarli via subito, perché se mi fossero stati trovati addosso mi sarebbero costati la vita.
Tuttavia, il turbamento che Levi è costretto a subire all’interno del campo di concentramento di Auschwitz, gli offre quella spinta emotiva e “terapeutica” per cercare di reagire a tanto orrendo dolore.
Infatti, il turbamento che Levi subisce viene compensato con l’atto glorioso della scrittura, una scrittura che diventa una sorta di terapia così come lui stesso scrive: Sentivo più ancora che nel Lager l’offesa che avevo ricevuto, e capivo che l’unico modo di salvarmi era raccontare.
Lo scrivere è stato un atto di liberazione; se non avessi scritto, probabilmente sarei rimasto un dannato in terra. Pertanto, scrivere è innanzitutto un esigenza per sopravvivere a tanto orrore, è quella molla che muove tale necessità affinché sia presente “la pena del ricordarsi, il vecchio feroce struggimento di sentirsi uomo, che mi assalta come un cane all’istante in cui la coscienza esce dal buio”.
La sua vicenda privata, quell’atto intimo vissuto e subito nel campo di sterminio nazista, diventa una scrittura di denuncia, una spietata testimonianza attraverso il racconto dei suoi lunghi e difficili giorni di prigionia. Levi rappresenta probabilmente uno dei pochi scrittori, anzi forse l’unico a possedere due diverse identità, l’una di chimico e quindi di tecnico e l’altra di scrittore lucido e riflessivo. Queste due metà così come asseriva lo stesso Levi, sono totalmente distaccate, proprio come due mezzi cervelli che convivono nella stessa testa, egli era infatti contemporaneamente chimico e letterato, italiano ed ebreo, scrittore e testimone.
La sua formazione culturale di carattere puramente scientifico infatti, non è un limite alla scrittura, ma anzi diventa uno stimolo ancora più forte, per quella capacità semplice e chiara di essere anche un eccellente e stimato scrittore.
Dedicherà, infatti, tutta la sua “seconda” vita di sopravvissuto alla scrittura, raccontando anche nel suo successivo romanzo “La tregua”, il viaggio di ritorno in Italia di tre deportati italiani sopravvissuti al campo di concentramento di Auschwitz.
Nel 1997, Francesco Rosi, realizzò il film tratto dal romanzo omonimo che gli valse il Premio di David di Donatello come miglior film, miglior regia, miglior produttore (Leo Pescarolo) e miglior Montaggio (Ruggero Mastroianni).
Riconosciuto come uno vero scrittore, Levi continua a pubblicare con successo i suoi lavori, dedicandosi al suo terzo libro “Il sistema periodico”, ritornando così al suo vecchio amore per la chimica. Infatti il libro è una raccolta di racconti incentrati sugli elementi chimici della Tavola Periodica.
Voglio inoltre ricordare i successivi “La chiave a stella” che parla del lavoro come di una approssimazione alla felicità, “Se non ora, quando” il suo vero primo romanzo di carattere storico ambientato durante la Seconda Guerra Mondiale, fino a “I sommersi e i salvati”, l’ultimo libro pubblicato in vita e considerato una delle maggiori opere del XX secolo.
Infatti Primo Levi dovrebbe entrare di diritto nei programmi ministeriali scolastici della Pubblica Istruzione, accanto ai più grandi scrittori e drammaturghi del Novecento, come Pirandello, Sciascia, Moravia, Pavese e Calvino.
Purtroppo tutto ciò non ha impedito a Levi, in una tragica mattina dell’11 aprile 1987, di togliersi la vita gettandosi nella tromba delle scale del suo condomino in corso Re Umberto, a Torino, lasciando un vuoto immenso nel mondo della cultura. Quella stessa cultura nella quale aveva rivelato un ottimo talento nell’interpretazione dei testi e una spiccata inclinazione letteraria sia nel racconto di fantasia che in quello più difficile e sorprendente, di lucido e disperato testimone del più grande orrore della storia umana.
Voi che siete sicuri
nelle vostre tiepide case,
voi che trovate tornando a sera
il cibo caldo e visi amici:
considerate se questo è un uomo,
che lavora nel fango,
che non conosce pace,
che lotta per mezzo pane,
che muore per un sì o per un no…
Articolo pubblicato il: 4 Agosto 2019 12:00