Forte tensione al tribunale di Avellino nel corso del processo sulla strage del bus che la sera del 28 luglio del 2013 costò la vita a quaranta persone. Urla e accuse di alcuni dei familiari delle vittime, che hanno atteso all’uscita del palazzo di giustizia Gennaro Lametta, il proprietario del pullman precipitato dal viadotto Acqualonga dell’A16, che ieri ha testimoniato in aula. “Sei un assassino”, hanno gridato i parenti della vittima contro di lui, accerchiato dagli agenti di polizia che lo hanno sottratto ad un vero e proprio tentativo di linciaggio. Poco prima, nel corso dell’udienza, Gennaro Lametta, proprietario del mezzo precipitato dal cavalcavia della Napoli-Bari e fratello di Ciro (l’autista morto nell’incidente), aveva fornito ai giudici la sua versione: “Il pullman era in regola. Non lo avrei mai messo in strada se avessi saputo di qualche guasto meccanico”, ha spiegato, contrastando la tesi dell’accusa che ha invece dimostrato come il bus circolasse con un documento di revisione contraffatto.
Riguardo tali documenti, Lametta ha sottolineato che “se ne occupava mio fratello Ciro e conoscendo la sua scrupolosità mi sentivo garantito e tranquillo”. Le dichiarazioni di Lametta sulla strage bus di Avellino sono state fortemente contestate da Giuseppe Bruno, che guida l’associazione vittime della strada Uniti per la vita: “Le sue parole sono un’offesa alle 40 vittime. Il pullman già a Telese il giorno prima del ritorno a Pozzuoli aveva manifestato dei problemi. Chi ha sbagliato deve pagare”. Parlando ai cronisti, il titolare della Mondo Travel che aveva proposto la gita di alcuni giorni a Pietrelcina e Telese Terme ha detto di considerarsi “la 41esima vittima di quella tragedia e oggi la mia vita non ha più alcuna motivazione”.
Articolo pubblicato il: 7 Aprile 2018 11:31