Categorie Economia e Lavoro

Reddito di cittadinanza, analogie e differenze con quello di inclusione

Reddito di cittadinanza: analogie e differenze con la misura governativa in vigore dallo scorso dicembre.

Punto centrale del programma elettorale del Movimento 5 Stelle è il reddito di cittadinanza. In Italia è già in vigore da quattro mesi il reddito di inclusione, il cosiddetto Rei: il sito Lettera 43 ha provato a metterli a confronto. In entrambi i casi si tratta di una misura di sostegno universale, non rivolta cioè a specifiche categorie come la cassa integrazione, l’assegno di accompagnamento o l’assegno sociale. Inoltre, sia Rei che reddito di cittadinanza sono condizionati all’impegno di chi ne usufruisce di uscire dalla situazione di disagio economico.

Coperture finanziarie

La differenza principale tra le due misure sta nelle coperture: gli ultimi governi hanno stanziato per il fondo di contrasto alla povertà 2 miliardi per il 2018, 2,5 miliardi nel 2019 e 2,7 miliardi dal 2020. Con questi soldi il Governo è andato a integrare il reddito di 119 mila famiglie, pari a 900 mila persone. Tale platea è destinata ad allargarsi nell’estate 2018, quando la misura sarà ampliata anche alle famiglie senza minori o disabili a carico: si tratta quindi di 700 mila nuclei famigliari e 2,5 milioni di persone. In Italia però vivono 1,619 milioni di famiglie in povertà assoluta, per 4,742 milioni di individui. Se il Rei non copre tutte le famiglie in povertà assoluta, il reddito di cittadinanza del M5S ha come obiettivo quello di portare tutti gli italiani oltre alla soglia di povertà relativa (pari al 60% del reddito mediano). “La soglia per il Rei di una persona sola è 187 euro al mese. Nei cinque stelle sono 780 che è tantissimo. In Europa solo la Danimarca ha un assegno così generoso”, sostiene l’economista Massimo Baldini. Il costo per le casse pubbliche varia da 15 miliardi, sostengono gli estensori della proposta, a 35 o 38, come affermato dal presidente dell’Inps Tito Boeri.

Beneficiari e scadenze

La seconda grande differenza sta nel modo con cui vengono selezionati i beneficiari. Nel caso della proposta pentastellata, possono fare domanda tutti quelli che hanno un reddito inferiore al 60% del valore mediano (la soglia di povertà relativa indicata dall’Istat). Nel caso del Rei, invece, si valuta l’Isee, che tiene conto anche dei patrimoni immobiliari e finanziari detenuti. I beneficiari del Rei vengono seguiti dai servizi sociali, che verificano il reale impegno delle famiglie a uscire dallo stato di disagio e, dopo 18 mesi, il sostegno scade. Il reddito grillino non ha invece scadenze temporali, la gestione passa ai centri per l’impiego e l’unica condizione per non perdere il sostegno è non rifiutare più di tre offerte di lavoro (che devono essere congrue rispetto alla propria formazione e vicine al luogo di residenza). “Sono condizioni molto rigide, specie nel Meridione è difficile che vi sia un mercato del lavoro in grado di soddisfarle”, dice ancora Baldini. “Questo vuol dire che, nei fatti, non c’è incentivo a uscire dallo stato di necessità o di accettare lavori a basso reddito che, comunque, porterebbero solo a una diminuzione dell’assegno. In gergo è quella che si definisce “trappola della povertà”. C’è poi un chiaro incentivo verso il lavoro nero che, in questo caso, consente al datore di risparmiare sui contributi e al lavoratore di percepire ugualmente il reddito di cittadinanza anche quando non ne ha più bisogno”.

 

Articolo pubblicato il: 29 Marzo 2018 10:36

Luigi Maria Mormone

Luigi Maria Mormone, cura la pagina di cronaca su Napoli e provincia, attualità e sport (pallanuoto, basket, volley, calcio femminile ecc.), laureato in Filologia Moderna, giornalista.