martedì, Dicembre 24, 2024

Road to the Oscar, “Tre Manifesti a Ebbing” in corsa con la McDormand

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Renato Aiello
Renato Aiello
Giornalista. Ha partecipato negli ultimi anni a giurie di festival cinematografici (come il SocialWorld Film Festival di Vico Equense), concorsi fotografici e mostre collettive. Recensioni film, serie TV, teatro, eventi, attualità.

A una settimana dalla notte degli Oscar 2018, ecco alcuni dei film in gara da vedere in sala, pellicole imperdibili per capire in che direzione si muoveranno i premi quest’anno e le dinamiche, i sottotesti politici e culturali delle opere in concorso. “Tre Manifesti a Ebbing, Missouri” è un film da recuperare e la sua protagonista, la magnifica McDormand vale l’intero biglietto.

Frances McDormand è una di quelle donne toste che mancano sempre più nel panorama cinematografico: un’attrice di ferro e interprete di razza che non si è mai sottratta alle sfide e non ha mai avuto paura dei ruoli offerti. Capace di far ridere e riflettere, in Tre Manifesti a Ebbing, Missouri riesce anche a far commuovere con il suo potente ritratto di donna in lotta contro tutti e il mondo intero per la sete di giustizia e amor di verità (la figlia, stuprata, uccisa e data alle fiamme, giustamente non le fa trovare pace in famiglia e in città).

Road to the Oscar, "Tre Manifesti a Ebbing" in corsa con la McDormandAlla cerimonia dei Golden Globes di gennaio sottolineò, ritirando il primo di una lunga serie di premi quest’anno, che “le donne in sala qui non sono per il cibo”, fiera e combattiva più di tutte le testimonial dei movimenti #MeToo e #TimesUp messe insieme. Solo una guerriera come lei si sarebbe sottoposta al dissacrante trattamento visivo del marito Joel Coen in Burn After Reading, commedia al fulmicotone dei fratelli Coen: un’introduzione ricca di dettagli su rughe a zampe di gallina, adipe e borse sotto gli occhi in primissimo piano. Poco importa se l’effetto Kuleshov sul grande schermo il più delle volte maschera, col montaggio alternato di corpi diversi, questi trucchi, perché conta la sfida offerta dai Coen, che già le fecero guadagnare un Oscar come migliore attrice per l’indimenticabile Fargo.

Road to the Oscar, "Tre Manifesti a Ebbing" in corsa con la McDormandIn questa edizione degli Academy Awards rischia seriamente di aggiudicarsene un altro, dopo anni di nomination a vuoto nelle due categorie, e a farle compagnia potrebbe esserci anche uno dei due non protagonisti, entrambi eccezionali nelle loro performance: Woody Harrelson, mai vincitore e perciò “a credito”, e il lanciatissimo Sam Rockwell, che molto probabilmente si aggiudicherà la statuetta, se non sarà il turno di Willem Dafoe, Christopher Plummer e Richard Jenkins.

Una storia di violenza negata, mistificata, sotterrata che la madre coraggio McDormand fa riemergere dalle ceneri con tre manifesti messi a nuovo fuori Ebbing, cittadina nel Missouri. Un’araba fenice risorta in una strada solitaria e poco trafficata, che causerà non pochi problemi e turbamenti nella comunità miope, gretta e chiusa in se stessa: specchio atroce dell’America trumpiana e della Bible Belt delle pianure nel Midwest, ostaggio dei suprematisti bianchi e dei razzisti (in periodo di elezioni come il nostro certi discorsi suoneranno purtroppo familiari).

Se il personaggio dello sceriffo, chiamato “a voce alta” su uno dei tre “billboards” dipinti di rosso con scritta nera, colpevole di non aver indagato a sufficienza, gioca di sottrazione (magistrale Harrelson), quello del poliziotto ubriaco e mammone tratteggiato da Rockwell è un ruolo che non si dimentica: iperbolico ed eccessivo, barocco nei gesti e nelle azioni “fuorilegge”, bigger than life e ovviamente borderline, ma disposto anche a farsi picchiare sulla strada della redenzione. Finale aperto di “speranza”, se può esistere ancora in questa Terra martoriata.

Un terzetto attoriale di tutto rispetto, diretto magnificamente dal regista inglese Martin McDonagh, già vincitore a Venezia 2017 della Targa Osella per la sceneggiatura e candidato anni fa all’Oscar per lo script di quel gioiellino riconosciuto da molti che fu In Bruges, dopo averlo già vinto nel 2006 per un cortometraggio. Incredibilmente non candidato per la regia, si può consolare del fatto che nemmeno Spielberg lo è per The Post, come il nostro Guadagnino che pure meritava con Call me by your name. Si rifaranno probabilmente entrambi, Luca e Martin, sul fronte delle sceneggiature originali e non originali, o magari per il miglior film. Il duello con La Forma dell’Acqua di Guillermo Del Toro, anche lui reduce dal lido, è agli sgoccioli!

 

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