Il funzionario pubblico di Salerno avrebbe accettato un bracciale in oro e diamanti e un orologio per concedere uno sconto di oltre 60mila euro su una sanzione tributaria: arrestati anche un imprenditore e un boss pentito.
Uno ‘sconto’ in cambio di un gioiello. E’ il cuore di una inchiesta della Guardia di finanza e dei carabinieri, su delega della Direzione distrettuale antimafia di Salerno, che ha portato a misure cautelari per il direttore provinciale dell’Agenzia delle Entrate di Salerno, Emilio Vastarella, che deve rispondere di corruzione in concorso con l’imprenditore Gianluca La Marca, titolare del caseificio ‘Tre Stelle’ di Eboli. Il funzionario pubblico ha ottenuto dal gip il beneficio della custodia cautelare ai domiciliari, mentre La Marca e’ in carcere.
Secondo gli inquirenti, l’imprenditore avrebbe consegnato al direttore dell’Agenzia delle Entrate un bracciale in oro e diamanti e un orologio per ricevere, in cambio, uno ‘sconto’ di oltre 60mila euro sul pagamento di una sanzione tributaria comminata dalla Commissione Tributaria.
In carcere e’ finito, poi, anche il pluripregiudicato Giovanni Maiale, capo dell’omonimo clan della Piana del Sele, almeno sino al momento in cui, nel 1994, decise di collaborare con la giustizia dopo la condanna in primo grado per associazione a delinquere di stampo mafioso e il concorso in diverse estorsioni. La Marca e Maiale, a vario titolo, rispondono di detenzione e porto illegale di armi da sparo clandestine, ricettazione e turbata liberta’ degli incanti aggravata dal metodo mafioso. L’episodio di corruzione si inserisce in un’indagine della procura salernitana nella quale La Marca e Vastarella rispondono di corruzione aggravata in concorso perche’ il titolare del caseificio, per risolvere le pendenze tributarie dell’azienda e per estinguere i debiti accumulati con il Fisco, si era rivolto direttamente al direttore dell’Agenzia delle Entrate, “corrompendolo con la dazione di un bracciale da donna in oro e brillanti e un orologio di valore, ottenendo, in cambio, uno sconto di oltre 60mila euro in realta’ non spettante sulle sanzioni che erano state comminate al caseificio dalla Commissione Tributaria”, scrive il procuratore capo facente funzioni, Luca Masini. Durante le perquisizioni nell’abitazione di Vastarella, il bracciale modello tennis di e’ stato ritrovato e sequestrato, mentre l’orologio no; tuttavia, in un’intercettazione, si sente La Marca dire al proprio interlocutore di averlo consegnato poco prima.
Il trattamento di favore che avrebbe riservato Vastarella al caseificio ‘Tre Stelle’ viene “formalmente giustificato, nel provvedimento a firma del direttore, sulla scorta di un’eccezionale situazione di difficolta’ finanziaria del caseificio, artatamente fatta emergere nella istruttoria della pratica, quando nella realta’ i conti dell’azienda evidenziavano una situazione particolarmente florida e l’attivita’ commerciale era in piena espansione”. Con questa ‘mossa’, il caseificio, oltre a beneficiare dello sconto, avrebbe ottenuto dall’amministrazione finanziaria anche lo sblocco di un ingente rimborso dell’Iva che l’Agenzia delle Entrate aveva, come per prassi, congelato in presenza delle controversie tributarie. Ed e’ proprio per questo vantaggio economico, “conseguito illecitamente”, il gip aveva gia’ disposto, e le Fiamme Gialle eseguito, il sequestro preventivo di piu’ di un milione di euro sui conti correnti del caseificio. L’indagine, infatti, e’ stata avviata due anni fa e si e’ concentrata, in particolare, sulla figura di Gianluca La Marca che avrebbe avuto, scrive il gip, “un atteggiamento spregiudicato anche con il Fisco”, e sulla “politica economica espansionistica” della sua azienda.
Quest’ultima, evidenziata dal comandante provinciale della Guardia di Finanza di Salerno, il generale Danilo Petrucelli, quando ha ricordato che “il fatturato dell’azienda, nel 2010, era di 18 milioni di euro; nel 2017, ha superato i 40 milioni”. I pm titolari del fascicolo, Marco Colamonici e Francesco Rotondo coordinati dal procuratore aggiunto Rocco Alfano, sostengono che il boom economico di ‘Tre Stelle’ sarebbe dovuto allo sfruttamento di “risorse provenienti da una massiccia evasione fiscale attuata dall’azienda di famiglia” che progettava di acquistare, direttamente o tramite familiari, aziende di allevamenti bufalini di Capaccio Paestum e di Eboli le quali, in stato di crisi, erano sottoposte a procedure esecutive.
Il ruolo del boss “Giovanniello” Maiale
In questo contesto, chiarisce l’accusa, che si inserirebbe la figura di ‘Giovanniello’, boss del clan Maiale arrestato in un comune della provincia romana, che avrebbe ricoperto un ruolo intimidatorio nei confronti di altri imprenditori, ‘invitandoli’ a non acquistare, alle aste giudiziarie, le altre aziende di allevamento e di produzione di latte di bufala. L’ex collaboratore di giustizia avrebbe ‘convinto’ un imprenditore a non partecipare all’asta giudiziaria relativa ad una procedura esecutiva immobiliare per l’aggiudicazione di un’azienda agricola, alla quale era interessato La Marca. A quella vendita all’incanto, infatti, non partecipo’ nessun altro imprenditore e l’azienda fu aggiudicata, per 944mila euro, nonostante valesse circa 3 milioni, alla madre di Gianluca La Marca.
L’indagato principale risponde anche di istigazione alla corruzione in quanto avrebbe tentato di corrompere un avvocato, custode giudiziario ed incaricato della vendita all’asta, promettendogli del denaro, non accettato dal professionista, per ritardare l’aggiudicazione dei beni. “Avvocato – avrebbe detto La Marca al custode giudiziario come riportato nei verbali delle intercettazioni – perche’ non vi fate venire una febbre? Se vi fate venire questa febbre, sono disposto a pagare il vostro onorario”. Nel corso di una perquisizione disposta dalla Dda nel giugno dell’anno scorso, inoltre, e’ stato arrestato anche il cugino di Gianluca La Marca e dipendente del caseificio. La Guardia di Finanza lo trovo’ in possesso di un fucile a pompa e di una pistola con matricola abrasa. Le armi, e’ venuto fuori dalle conversazioni intercettate, sarebbero state di proprieta’ di La Marca che, temendo un’imminente perquisizione, le aveva consegnate in custodia al cugino perche’ le nascondesse. Il cugino, per la procura, si e’ autoaccusato “falsamente di essere il proprietario delle armi pur di non fare il nome del La Marca”.
Il procuratore ff Masini, parlando a margine di un incontro con la stampa, definisce “una realta’ assolutamente inquietante” quella scoperchiata dall’indagine, sia per l’episodio di presunta corruzione, sia per “l’accertato ritorno di un collaboratore di giustizia che, nel ’94, fece una precisa scelta, che, in realta’, viene impiegato e utilizzato per la capacita’ intimidatoria che ha”. Il riferimento e’ a Giovanni Maiale che, spiega, “ha ottenuto anche la capitalizzazione, cioe’ l’erogazione, da parte dello Stato, di una somma di denaro, di solito anche cospicua, nei confronti di collaboratori di giustizia che hanno esaurito il proprio apporto contributivo”. Nell’inchiesta, risultano indagati anche altri soggetti ma gli inquirenti non hanno rivelato ulteriori particolari se non una parziale conferma, da parte di Masini quando dice: “L’indagine non e’, sicuramente, conclusa”.