Lo spettacolo “Don Juan in Soho”, diretto da Gabriele Russo, già al debutto ha mostrato evidente la sua capacità di sconvolgere il pubblico ponendolo dinanzi a una dimensione fatta di sesso e lacerazione interiore.
Travolgente quadro sul ribellismo, l’ipersessualità e il libero arbitrio, il “Don Juan in Soho” visto al Teatro Bellini, conduce subito in un mondo spregiudcato e irriverente. Tratto dall’opera di Patrick Marber a sua volta ispiratosi al Don Giovanni di Molière, e diretto da Gabriele Russo, lo spettacolo già al debutto ha mostrato evidente la sua capacità di sconvolgere il pubblico ponendolo dinanzi a una dimensione fatta di sesso e lacerazione interiore.
E per spiegare ciò si deve necessariamente partire da quell’originario Don Giovanni, seduttore per antonomasia, da cui tutto nasce. Un Don Giovanni che, dopo essersi imposto nella letteratura universale con Tirso De Molina e fatta la sua apparizione nella Commedia dell’Arte italiana, si trasforma in un personaggio incredulo e scettico.
In un tipo quasi vicino all’agnosticismo, sfrontato e spergiuro, che si danna senza neppure avere il proposito di pentirsi. Ed anche nella commedia di Marber nelle mani del regista Russo, il Don Giovanni beffatore seriale delle donne, porta avanti il suo travagliato percorso fino al volontario raggiungimento dell’implacabile castigo faustiano quale simbolo demoniaco della carne.
Così, dopo aver ammaliato nei secoli, al di là del De Molina e di Molière, autori come Goldoni, de Espronceda, Zorrilla, Byron, Pusckin, Hoffmann, Shaw e Mozart, diventando moderno e ambiguo, nella versione dell’autore inglese, il Don Giovanni si trasforma in un Dj amorale e fascinoso. In una vittima di un desiderio sessuale eternamente inappagato, che si muove nel quartiere di Soho simbolo anticonformista di una Londra eversiva e controcorrente.
Evocando l’ideologia del grande commediografo francese ricordato per il suo straordinario intento satirico e la finezza psicologica, il regista Russo porta in scena le linee di un moderno e pericoloso universo dove, accanto al Don Giovanni fagocitato dalla sua stessa voglia di sesso, si muovono i tipi di una società allo sfascio.
Tra questi, l’escort, l’arrivista e il radical chic fino a giungere, in contrapposizione, a una Elvira che da tradizionale sposa tradita del protagonista, assume i tratti di un’attivista ecologica, o meglio, come afferma lo stesso regista, di “una Carola Rakete” quale immagine eroica al femminile di un mondo migliore.
Una volta catapultata nella nostra contemporaneità, la commedia presentata a Parigi per la prima volta nel 1665, sembra non avere difficoltà a tingersi di sfrontata comicità. Così come, a non avere disagi alcuni nel riprodurre un universo fatto di vizio e devianze, è stata l’intera compagnia capeggiata da un Daniele Russo nei panni del Don Giovanni.
Attore eclettico e versatile ancora una volta capace di spaziare tra i più ampi registri recitativi di un teatro ora fatto di classicismo e parola, ora di azione e temi feroci. Da segnalare, infine, oltre al felice contributo di tutti gli attori, tra cui Federica Altamura, Joele Anastasi, Claudio Benegas, Claudia D’Avanzo, Mauro Marino, Alfonso Postiglione, Arianna Sorrentino ed Enrico Sortino, la bella prova di Noemi Apuzzo nei panni di Elvira.
Una giovane attrice che, grazie a una interpretazione determinata, è riuscita persino a portare alla mente quelle famose lezioni di Jules Eugène Louis Jouvet e lo spettacolo Elvira (Elvire Jouvet 40) di Brigitte Jaques.
Impreziosito dalle scene di scene Roberto Crea, dai costumi di Chiara Aversano, dal disegno luci di Salvatore Palladino e dal progetto sonoro di Alessio Foglia, il “Don Juan in Soho”, prodotto dalla Fondazione Teatro Di Napoli – Teatro Bellini, ha mostrato, nel solco di una società sfacciata e antitradizionalista, l’infallibilità di un linguaggio teatrale senza tempo. Per tutti, un momento di spettacolo del nostro presente e un invito a riflettere su quel sottile confine che divide il sacrificio dal piacere e la libertà dalla spericolatezza.