Un ricordo di Nino Manfredi a cento anni dalla nascita
Attore, regista e sceneggiatore, Nino Manfredi ha lavorato con i più grandi attori e attrici del cinema italiano, valorizzato da altrettanti registi di spessore e talento artistico assoluto.
Fusse che fusse la vorta bbona?!…, era solito dire una volta il grande Nino Manfredi, (era il tormentone della voce fuori campo nel film “Totò, Fabrizi e i giovani d’oggi) reduce dal successo della trasmissione televisiva “Canzonissima”, che nel 1959 gli diede enorme soddisfazione e un ulteriore popolarità, anche se era già attivo nel cinema fin dal 1951, che gli spalancò le porte della commedia cosiddetta “all’italiana”, vera e propria.
Nato a Castro dei Volsci (Frosinone), il 22 marzo del 1921, da Romolo, maresciallo di Pubblica Sicurezza e da Antonina, casalinga, Saturnino, questo il nome completo dell’artista, che divenne in arte “Nino”, trascorse l’infanzia insieme con il fratello minore Dante a Roma, nel quartiere di San Giovanni.
Colpito dalla tubercolosi, fu ricoverato in sanatorio nel 1937 all’età di diciassette anni, per poi uscirne solo a diciannove, nel 1940, vedendo morire tutti i suoi compagni ricoverati che invece non ce l’avevano fatta; questa terribile esperienza, che lo aveva segnato profondamente, fu la causa scatenante che gli fece perdere la fede, anche se la figlia ha sottolineato in un’intervista che, era l’unico ateo a parlare con Dio. Laureato in giurisprudenza, capì subito la sua vera vocazione e con determinazione e successo si dedicò completamente alla recitazione, entrando di diritto nella cinquina dei più grandi attori italiani, assieme a Vittorio Gassman, Ugo Tognazzi, Alberto Sordi e Marcello Mastroianni.
Precedentemente alla bella esperienza citata all’inizio, arrivarono già i primi successi anche in campo cinematografico grazie a Steno che gli affidò il ruolo di ladro babbeo in Susanna tutta panna (1957) con l’indimenticabile Marisa Allasio, la maggiorata dell’epoca, e la parte da protagonista in Guardia, ladro e cameriera (1958) accanto alla brava Gabriella Pallotta e Fausto Cigliano.
Il suo talento di attore gli ha permesso di mettere a punto un stile di recitazione sommesso, concentrato e pacato che gli ha consentito di ottenere efficaci effetti comici, con il minimo impegno; gli bastava infatti uno sguardo, un gesto o semplicemente un cenno per ribaltare situazioni paradossali e provocare una risata nello spettatore.
Eloquenti a tal proposito le ottime interpretazioni di alcuni film come Gli anni ruggenti (1962) di Luigi Zampa, dove un onesto e ingenuo assicuratore romano, Omero Battifiori, viene scambiato per un gerarca fascista inviato da Roma per un’ispezione segreta politico-amministrativa; e qui gli sceneggiatori, un certo Ettore Scola, Ruggero Maccari e lo stesso Zampa,sono stati a dir poco geniali confezionando un prodotto cinematografico perfetto, lineare ed efficace, valorizzato da mostri sacri come Gino Cervi, Gastone Moschin e Salvo Randone, uno dei più grandi attori di teatro, purtroppo già indegnamente dimenticato, e Il carabiniere a cavallo (1961) di Carlo Lizzani, divertente e spensierata commedia dai toni ironici accanto ad un arguto Peppino De Filippo.
Nella sua lunga e brillante carriera di attore è riuscito a far affiorare dai suoi innumerevoli personaggi, seppur con tratti di autentica commedia leggera, quell’amarezza e quella durezza che in genere colpisce sempre il poveraccio oppresso e umiliato dalle ingiustizie della vita, senza mai riuscire ad ottenere quel riscatto tanto desiderato e rincorso, invano, per tutta la vita.
Condizioni queste che ritroviamo in C’eravano tanto amati (1974) di Ettore Scola, forse il suo capolavoro cinematografico, accanto a Gassman, Sandrelli e un bravo Stefano Satta Flores, dove compaiono anche Fabrizi e la Ralli, in un affresco triste e patetico di circa 30 anni di storia italiana, vista attraverso i tre protagonisti, Gianni, Antonio e Nicola, ex partigiani, che divenuti amici devono fare i conti con una realtà e soprattutto con un’Italia ormai cambiata per sempre. Il film è dedicato alla memoria di Vittorio De Sica che si spense durante la lavorazione del medesimo. Dello stesso anno è anche Pane e cioccolata, di Franco Brusati, che io considero uno dei migliori film di Manfredi, che ha per tema l’emigrazione italiana in Svizzera, affrontando questo scottante e delicato argomento a metà strada tra dramma e commedia, con un umorismo perfetto e geniale che solo un attore bravo come Manfredi, poteva incarnare così bene. Con Il giocattolo (1979) di Giuliano Montaldo, Manfredi conferma la sua spiccata ironia amara, interpretando un mite e modesto ragioniere che da anni viene sfruttato e vessato dal suo ex compagno di scuola, egoista e spregiudicato (interpretato da un bravissimo Arnoldo Foà) e che per caso conosce un poliziotto (Vittorio Mezzogiorno) che gli insegna ad usare la pistola: il protagonista scoprirà di avere un talento naturale per le armi da fuoco e di possedere una mira infallibile. Da questo momento in poi inizierà il suo tanto agognato riscatto, ma ad un prezzo altissimo visto che troverà sulla sua strada un risvolto altamente drammatico, sottolineando ancora una volta quel tragico destino iniquo e fallace che incarna i migliori personaggi interpretati da Manfredi.
Il suo rapporto con i registi è sempre stato cordiale e di grande collaborazione, tuttavia era profondamente legato da reciproca amicizia e stima soprattutto con Ettore Scola, di cui voglio ricordare il celebre Brutti, sporchi e cattivi (1976) dove finalmente gli vene affidata la parte del capo di una famiglia che vive in una baraccopoli della periferia romana, dispotico, cattivo, rozzo e impietosamente amorale, interpretato con straordinaria misura e sottigliezza, e con Luigi Magni il cui forte sodalizio è testimoniato da almeno tre grandi film: Nell’anno del Signore (1969), In nome del Papa re (1977) da non perdere e da rivedere assolutamente e In nome del popolo sovrano (1990).
E come si può non citare il suo indimenticabile Geppetto, probabilmente il migliore in assoluto, nello sceneggiato televisivo Le avventure di Pinocchio (1972) di Luigi Comencini, e il povero padre di famiglia che vende caffè abusivamente sui treni regionali nel delicato e commovente CaféExpress (1980) di Nanny Loy, e ancora in Girolimoni, il mostro di Roma (1972) di Damino Damiani, basato sulle vicende realmente accadute, tra il 1924 e il 1927, quando per un grave e “voluto” errore giudiziario,fuingiustamente accusato di pedofilia e violenza sessuale il povero e sfortunato Gino Girolimoni; la sua vita fu distrutta per sempre e ancora oggi si tende ad usare il suo cognome, indegnamente, quando ci si riferisce a reati di questo tipo; la sua interpretazione fu tanto intensa, quanto straziante. Celebre anche per la sua ossessiva meticolosità, mise in crisi addirittura Alberto Lattuada che abbandonò il set di Nudo di donna (1981) lasciandolo sotto il suo controllo.
Come regista, però, Manfredi è stato autore di un film estroso e originale, Per grazia ricevuta (1971) scritto, diretto e interpretato da lui stesso che per la complessità del tema trattato, con riferimento alla sua sfortunata infanzia caratterizzata della tubercolosi, e dal dubbio sull’esistenza di Dio, gli valse il premio come miglior opera prima, al 24° Festival di Cannes. Ma quando gli chiedevano a quale dei suoi numerosi film fosse più legato, rispondeva subito L’avventura di un soldato (episodio di L’amore difficile) di Nino Manfredi (1962) tratto da un racconto breve di Italo Calvino, nel quale interpreta un cortometraggio completamente muto al quale nessuno credeva, contestando il fatto che era impossibile mettere in scena un racconto di questo tipo; non solo ebbe un grande successo di pubblico e critica, ma ricevette addirittura una lettera dello stesso Calvino che si congratulava per la sua eccellente interpretazione e trasposizione cinematografica.
Senza dubbio tra le cose più memorabili che abbia mai prodotto il nostro cinema. Tuttavia avrebbe volentieri lavorato con registi del calibro di Fellini, Germi, De Sica, Antonioni, senza mai sapere il perché non fosse mai stato chiamato da questi ultimi, e mi piace pensare che se, un giorno, fosse squillato il suo telefono, avrebbe certamente esclamato: Fusse che fusse la vorta bbona?!
Carlo Farina - cura la pagina della cultura, arte con particolare attenzione agli eventi del Teatro San Carlo, laureato in Beni culturali, giornalista.