Bartok e Dvorak protagonisti al Teatro San Carlo con due grandi pagine orchestrali di ampio respiro vocale e orchestrale. La prima parte affidata all’interpretazione di due grandi artisti: Gabor Bretz e Violeta Urmana.
Il 24 maggio 1918, debuttava al Teatro dell’Opera di Budapest “Il Castello del Principe di Barbablù”, opera in un atto composta nel 1911 da Bela Bartok, uno dei massimi esponenti della musica folcloristica balcanica. Questa famosa opera, presentata in forma di concerto e ispirata al fiabesco personaggio di Barbablù, ha aperto la serata che il San Carlo ha tenuto sabato 20 gennaio alle 20:30 (con replica la domenica successiva – Turno P). Caratterizzata da clima inquietante, misterioso e drammatico, l’opera impiega solamente due personaggi e un Bardo al quale è affidato un breve prologo che ci introduce nell’azione. Il libretto fu affidato al regista e sceneggiatore Bela Balazs, studioso di ballate popolari ungheresi, che trasformò l’opera di Bartok in un unico nucleo drammatico. Le due e uniche voci principali sono state affidate a due grandi artisti di elevato spessore vocale, il soprano Violeta Urmana (Judit) e il basso Gabor Bretz (Bardo e Barbablù) che hanno entrambi regalato al pubblico presente un’interpretazione decisamente sopra le righe, con convincenti sfumature vocali di grande flessibilità ritmica, che ritroviamo spesso nei loro numerosi concerti che regolarmente eseguono in tutto il mondo. Violeta Urmana è senza dubbio una delle più grandi e affermate cantanti del repertorio tedesco e italiano, con una particolare predilezione per la musica di Wagner. Entrambi gli artisti, diretti dalla preziosa bacchetta del Direttore Musicale del San Carlo Juraj Valcuha, hanno ricevuto il meritato riconoscimento dal pubblico, dal direttore e dall’orchestra tutta, che hanno tributato ai due cantanti applausi e ovazioni sottolineati da una profonda soddisfazione per l’impegno serio che un’opera così difficile, richiede. Con la celebre Sinfonia n. 8 in sol maggiore del compositore boemo Antonìn Dvorak, la seconda parte della serata si è completamente ribaltata, regalandoci attraverso la bellissima musica di questa “luminosa” sinfonia, il ricordo sereno di paesaggi campestri e di musiche popolari, che rimandano ad un periodo particolarmente felice dell’artista, quando ormai affermato compositore, poteva anche dedicarsi con passione a temi e melodie popolari. Tutti i quattro movimenti che compongono tale lavoro orchestrale posseggono quella passionalità che ritroviamo quasi sempre nelle numerose composizioni di Dvorak, dalla musica da camera alle danze slave, fino ai celebri concerti. L’eccellente direzione di Valcuha è stata supportata da un’altrettanto eccellente orchestra, quella del San Carlo, il cuore pulsante del Massimo napoletano, dotata di magnifici elementi che con il loro “speciale” contributo rendono il suono orchestrale “pulito” e preciso in ogni passaggio. Voglio segnalare a tal proposito gli interventi del primo flauto traverso, dei clarinetti, degli oboi, del corno inglese e degli ottoni, tutti perfettamente in sincrono con gli archi, per la riproduzione di quel suono che ogni buon orecchio vorrebbe ascoltare, sempre.