giovedì, Dicembre 12, 2024

Mehta e Bollani al San Carlo per due serate memorabili

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Carlo Farina
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Carlo Farina - cura la pagina della cultura, arte con particolare attenzione agli eventi del Teatro San Carlo, laureato in Beni culturali, giornalista.

Due grandi serate al San Carlo per la chiusura della Stagione di Concerti 2017-2018, hanno portato sul palcoscenico del Massimo napoletano Zubin Mehta e per la prima volta il funambolico Stefano Bollani con musiche di Bernstein, Gershwin e Stravinskij.

Non poteva concludersi nel migliore dei modi la Stagione di Concerti 2017-2018 che in questi lunghi mesi ha riscosso un successo ancora più grande e meritato, grazie a un pubblico sempre più numeroso e affezionato.

Le due ultime indimenticabili serate al Teatro San Carlo, il 29 e 30 settembre scorso, sono state dominate dal debutto sul palcoscenico di Stefano Bollani, che mi piace definire non “un pianista” ma “il pianista”, un musicista di squisita formazione jazzistica rapito dall’affascinante mondo della musica “classica”, che anche su un palcoscenico cosi difficile come quello del Massimo napoletano, è apparso disinvolto, professionale e molto emozionato.

Mehta e Bollani al San Carlo per due serate memorabili

Dopo il doveroso omaggio ad uno dei più grandi musicisti e direttori d’orchestra, Leonard Bernstein, di cui quest’anno si celebra il centenario dalla nascita e del quale è stata proposta la bellissima e spumeggiante Ouverture dal “Candide”, la prima parte della serata si è completata con l’esecuzione della celeberrima Rhapsody in Blue di George Gershwin.

Una composizione del 1924, destinata a diventare la più popolare della sua intera produzione, legata al suo naturale eclettismo e alla sua natura ibrida, a cavallo tra classico e jazz, tra colto e popolare, pervasa da una doppia natura che il compositore statunitense ha cercato per tutta la vita di farli convivere in una sola identità, forse senza mai riuscirci.

Mehta e Bollani al San Carlo per due serate memorabili

Chi meglio di Bollani dunque poteva incarnare questa doppia natura classica/jazz, nell’esecuzione di questo difficile e notissimo brano, dove lo spazio virtuosistico è protagonista ma, nello stesso tempo, è anche intimista e deliziosamente fugace? Elementi questi che il direttore Zubin Mehta ha lasciato “senza vincoli” nelle mani del solista, concedendogli tutti gli spazi di cui aveva bisogno, con un’esecuzione “libera” da qualsiasi indicazione soggetta alla direzione orchestrale.

Mehta e Bollani al San Carlo per due serate memorabili

La collaborazione dunque è stata perfetta e indiscutibile e il risultato, già dalle suadenti note del primo clarinetto, è stato molto soddisfacente e piano di suggestioni. Le stesse che abbiano ritrovato nei successivi tre bis della prima serata, quando già travolto dagli applausi, Bollani ha “giocato” con due standard esemplari come la celebre romanza Mattinata di Ruggero Leoncavallo del 1904, il cui primo interprete fu Enrico Caruso, seguito da un omaggio doveroso a Napoli con la struggente Te voglio bene assaje, e in mezzo ai due brani citati una lunga elaborazione pianistica da West Side Story di Bernstein, conclusa nello stile più classico di Bollani, sfociato nel Valzer op. 64 n. 1 di Chopin, conosciuto anche come “il valzer di un minuto”.

A proposito di Gershwin e della sua Rapsodia, così commenta Bollani: Nel tempo, Gershwin è diventato più pomposo di quel che era in origine, si è data della sua musica una lettura più classica. E’ finito per diventare un romantico. Ma non è un romantico, non è Brahms, che ad ogni battuta ti vuole scavare dentro e contorcere…Non è necessario, per considerare Gershwin un grande compositore, trovare in lui a tutti i costi forzate ascendenze classiche, o la libertà improvvisata del jazz.

Nella seconda parte della serata, il direttore si è ripreso lo “scettro del comando” proponendo una della pagine più importanti del Novecento, La sagra della primavera “Quadri della Russia pagana in due parti” di Igor  Stravinskij.

Commissionata da Diaghilev, uno dei più grandi impresari russi dell’epoca, l’autore impiega in questa celebre pagina orchestrale una grande dovizia di mezzi orchestrali, creando una potenza e una ricchezza di suoni caratterizzati da un ritmo sconvolgente e da una grande varietà di timbri, a cominciare dall’introduzione lenta con la famosa melodia affidata al fagotto nel registro acuto, tratta da un canto popolare lituano.

Mehta e Bollani al San Carlo per due serate memorabili

Mehta con sconcertante semplicità, si affida ad un’orchestra che con lodevole passione e rigore artistico, confeziona un’interpretazione lodevole anche nei passaggi più difficili, restituendo quella sensazione di grande misticismo di cui è pervasa l’intera partitura. Ma il lavoro di Mehta è stato facilitato anche dalla profonda conoscenza di questa orchestra che in più di un’occasione l’ha sempre diretta con quello spirito disinvolto e intimista, che da sempre lo contraddistingue, ottenendo risultati lusinghieri da un’orchestra che lo rispetta e da un pubblico che lo ama.

Due serate perfette che oserei definire magiche, dove direttore, solista, orchestra e brani proposti, possono essere paragonati a un gigantesco puzzle, dove tutti i tasselli che lo compongono si sono perfettamente uniti in un’unico affascinante disegno dove nulla è stato lasciato al caso, e i rimandi tra gli esecutori e gli autori si susseguono a dismisura, completando questo magnifico e prodigioso puzzle virtuale.   

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