Passati per festival e rassegne, e attraverso proiezioni speciali nei cinema e nelle scuole per raccontare ai ragazzi la tragedia più grande del ‘900, i film di Cesare Israel Moscati sulla Shoah e sulle radici del male andrebbero recuperati per scoprire le tante piccole storie di ebrei italiani sopravvissuti, o dei figli di deportati scampati alla morte o all’internamento nei campi.
Nella settimana della Giornata della Memoria, culminante nelle commemorazioni del 27 gennaio, data della liberazione del campo di Auschwitz-Birkenau con l’arrivo dell’esercito sovietico, è abitudine da anni rivedere film che trattino il tema. Pellicole come Il pianista di Polanski o Schindler’s List di Spielberg hanno fatto la Storia del Cinema, altre sono considerate addirittura film superiori, come il documentario Shoah, che però è poco conosciuto e trasmesso. In Italia le stragi e le deportazioni, avvenute non solo dopo l’invasione nazista e la relativa occupazione, e soprattutto consentite dalle infamanti leggi razziali – rievocate dalla cronaca recente in merito all’opportunità o meno di tumulare Vittorio Emanuele III al Pantheon, il re che le firmò – impongono una riflessione e una maggiore consapevolezza. In questi anni ci ha provato Cesare Israel Moscati, regista e sceneggiatore, autore di tre documentari belli e importanti, che dal 24 gennaio, per tre giorni e sempre alle ore 23, saranno trasmessi su Rai Storia: I figli della Shoah, Alle radici del male e Suona Ancora, di cui abbiamo già segnalato la proiezione speciale al Conservatorio Verdi di Milano.
Il primo, della durata di 57 minuti e in onda stasera sul canale Rai Storia del digitale terrestre, prodotto da Global Vision Group in collaborazione con Rai Cinema, è scritto da Moscati, anch’egli “figlio della Shoah”, protagonista stesso del film, che decide di partire per un viaggio alla ricerca di altri figli e nipoti di sopravvissuti per condividere con loro la propria, personale sofferenza. È un viaggio a cui non può più sottrarsi: Roma, Parigi e Israele sono le tappe per indagare nell’animo e nelle emozioni di uomini e donne che, come lui, si sono ritrovati per tutta la vita a convivere con il trauma e il silenzio dei propri genitori. Questo è il momento di condividere il proprio dolore e di cercare dai suoi compagni di viaggio altre risposte, inseguite per tutta la vita. Perché, benché se ne parli e si affronti il dolore, la ricerca di risposte non si esaurisce mai.
Il film si apre e si chiude nella scuola elementare ebraica Vittorio Polacco di Roma, da cui furono deportati 115 bambini ebrei (tra questi quattro zii di Moscati) che non fecero più ritorno. Eccolo, dunque, il pesante fardello dell’olocausto che, oltre ad aver lacerato i genitori ha colpito anche i figli di seconda generazione che sono cresciuti con la consapevolezza di un vuoto affettivo da dover colmare silenziosamente con le proprie forze. Da questa premessa nasce un documentario che vuole indagare nell’animo e nelle emozioni di tutti i protagonisti coinvolti. Nelle loro parole e nei gesti involontari sono sedimentate tracce di esperienze passate, espressioni di dolore che si fanno memoria, testimonianza e coraggio».