Le Zeppole di San Giuseppe, dolce simbolo della tradizione napoletana, la cui origine di è avvolta nel mistero e nelle leggende.
Affondano le loro radici nella notte dei tempi, le Zeppole di San Giuseppe, dolce simbolo della tradizione napoletana, che da secoli allieta la festa dedicata al Santo falegname e, in tempi più recenti, anche alla celebrazione della figura paterna.
La loro fragranza avvolgente e la perfetta combinazione di pasta choux, crema pasticcera e amarene sciroppate rendono le zeppole una delizia capace di tramandare storia e sapori con un solo morso. L’origine di questo dolce è avvolta nel mistero e nelle leggende. Si racconta che la zeppola abbia preso la forma attuale nel XVIII secolo, probabilmente grazie alle monache dello Splendore e della Croce di Lucca o a quelle di San Basilio del Monastero di San Gregorio Armeno, che la preparavano nei loro conventi.
La prima ricetta documentata, però, appare nel 1837 nel Trattato di Cucina Teorico-Pratico di Ippolito Cavalcanti, Duca di Buonvicino. In questa preziosa opera scritta in napoletano, il gastronomo descrive un dolce semplice e gustoso, realizzato con pochi ingredienti: acqua, farina, sale, zucchero, marsala, vino bianco o liquore all’anice e olio per friggere. Ma la storia della zeppola non si esaurisce tra le pagine di un libro di cucina. Diverse sono le teorie che ne raccontano la nascita.
Una delle più affascinanti la lega alla fuga in Egitto della Sacra Famiglia: si narra che San Giuseppe, per mantenere Maria e Gesù, divenne un venditore ambulante di frittelle. Una suggestione che trova un curioso riscontro nella tradizione napoletana del XVIII secolo, quando gli zeppolari di strada friggevano e vendevano le zeppole direttamente davanti alle loro botteghe, in occasione del 19 marzo.
Un’altra ipotesi riconduce le zeppole all’antica Roma, ai tempi dei Liberalia, festività in onore di Bacco e Sileno, divinità del vino e del grano. Il 17 marzo i romani celebravano questa ricorrenza con abbondanti libagioni e con la preparazione di frittelle di frumento cotte nello strutto, progenitrici delle moderne zeppole. Non mancano riferimenti ai riti agrari di purificazione diffusi nell’Italia meridionale.
Il 19 marzo segnava il passaggio dall’inverno alla primavera, e il popolo celebrava l’evento accendendo grandi falò e preparando dolci fritti ricoperti di miele. Un gesto propiziatorio che, nel tempo, si è trasformato in una dolce usanza gastronomica. Anche l’etimologia del termine zeppola ha origini dibattute. Alcuni lo fanno risalire alla parola zeppa, derivata dal latino cippus, il pezzetto di legno usato dai falegnami per correggere i difetti nei mobili, evidente richiamo a San Giuseppe. Altri vedono un legame con serpula, per la forma del dolce, simile a un serpente attorcigliato.
Un’ulteriore ipotesi rimanda alla parola zippula, modificazione del termine cymbala, che indicava un’antica imbarcazione dalla forma arrotondata. Infine, una leggenda popolare napoletana attribuisce l’invenzione della zeppola a un certo Zi’ Paolo, celebre friggitore di strada, il cui nome sarebbe stato immortalato in questo dolce. Oltre le leggende, la zeppola di San Giuseppe si conferma un simbolo identitario, che racchiude in sé secoli di storia e tradizione. Assaporarla significa compiere un viaggio nel tempo, tra riti antichi e sapori autentici, celebrando un’arte dolciaria che, a Napoli, si tramanda con passione da generazioni.