A Napoli, spesso, accade che il riconoscimento più autentico ai suoi figli migliori arrivi solo quando il sipario della vita si è ormai chiuso. È in quel momento, quando i nomi illustri riaffiorano dopo il fragore dei successi e il peso delle incomprensioni, dopo gli onori e i silenzi, che la città si stringe attorno alla loro memoria.
È stato così anche per Roberto De Simone. Il Maestro. L’artista che più di ogni altro ha saputo restituire voce, corpo e anima all’identità profonda e arcana di Napoli. L’intellettuale inquieto che, con genio e rigore, ha insegnato a questa terra istintiva e passionale ad ascoltare la propria musica interiore, quella che viene da lontano. E anche questa volta Napoli non ha mancato l’appuntamento. C’era tutta, Napoli.
Composta, commossa, ferita. Raccolta in preghiera nella solennità senza tempo del Duomo, dinanzi all’altare di San Gennaro, tra le sue antiche navate testimoni di secoli di fede e di silenzio. In quello spazio sacro, dove ogni parola si fa eco e memoria, l’Arcivescovo di Napoli, Domenico Battaglia – Don Mimmo per chi ne conosce l’umanità e la vicinanza – ha officiato un rito che è andato oltre la liturgia: è stato un abbraccio corale, un momento di verità e di amore condiviso.
Con parole semplici e potenti, cariche di quella sincerità che solo chi conosce davvero l’anima contraddittoria di Napoli può avere, l’Arcivescovo ha tracciato il profilo più autentico del grande Maestro: «Non siamo qui per pronunciare un addio – ha detto Battaglia durante l’omelia – ma per esprimere la nostra gratitudine ad un uomo di cultura, d’arte e di fede. Non è la fine di uno spettacolo quella che celebriamo, ma l’inizio di un nuovo scenario. Per De Simone, la vita è stata una partitura da eseguire fino all’ultima nota. Durante gli incontri che ho avuto con lui in ospedale – ha ricordato- mi colpì la sua devozione alla Madonna Addolorata.
E non dimenticherò mai quando, con semplicità disarmante, mi chiese perché nella sua stanza non ci fosse un crocifisso. In quel momento ho intuito che nel volto rigato dalle lacrime di Maria Addolorata lui ritrovava l’immagine più vera della sua Napoli». Un passaggio toccante, che ha scolpito ancora di più il legame profondo tra Roberto De Simone e la città che ha sempre abitato la sua opera e il suo pensiero. Perché il Maestro non è stato solo un intellettuale, un musicista, un regista.
È stato, prima di tutto, l’interprete più lucido e visionario di quell’anima napoletana sospesa tra dolore e bellezza, tra mistero e verità. E stavolta Napoli, nella maestosità del suo Duomo, ha saputo esserci. In silenzio. In ascolto. Per rendere omaggio, con gratitudine e con rispetto, ad uno dei suoi figli più grandi.
In quella chiesa, oltre agli amici sinceri, agli allievi, a coloro che gli sono stati vicini nei silenzi degli ultimi anni e durante la malattia, aleggiava anche un altro popolo invisibile e misterioso: quello dei santi popolari tanto amati e studiati da De Simone, quello delle anime del purgatorio- le anime “pezzentelle”- che il Maestro aveva collezionato e cantato come nessun altro. Accanto alla bara , si sono raccolti in molti. I familiari e le istituzioni in prima fila: il Governatore Vincenzo De Luca, il Sindaco Gaetano Manfredi, il Prefetto Michele di Bari, l’assessore Edoardo Cosenza, il consigliere Toti Lange.
E ancora, tra i politici, anche Luciano Schifone. Una cerimonia intensa, partecipata, carica di memoria e di amore che ha visto pure presenti tantissimi personaggi legati al mondo dello spettacolo e della cultura che hanno trovato in De Simone un maestro e una guida insostituibile. Un piccolo esercito di artisti, amici, discepoli, tutti lì, difficili da scorgere e contare, uniti in un unico abbraccio di riconoscenza e dolore.
Tra questi: Isa Danieli, Lina Sastri, Enzo Avitabile, Marina Confalone, Peppe Barra, Patrizio Trampetti, Giovanni Mauriello, Patrizia Spinosi, Gigi Savoia, Mario Brancaccio, Antonella Morea, Fausta Vetere, Eugenio Bennato, Lello Converso, Tommaso Bianco, Ida Di Benedetto, Ciccio Merolla, Enzo Gragnaniello, Sergio Priante, Ciro Giorgio, Barbara Lombardi. E una volta terminata la cerimonia, mentre le navate del Duomo lentamente si svuotavano, e il silenzio tornava a scendere tra i banchi ancora caldi di commozione, fuori, ad aspettare, c’era sempre lei: Napoli. Una Napoli antica e giovane, ferita e bellissima, pronta a celebrare i suoi miti quando ormai è tardi, ma incapace, da sempre, di amarli davvero quando sono vivi.
E così, mentre l’eco del nome di Roberto De Simone continuava a vibrare tra le pietre, tra le note del coro e nei cuori, la città sembrava tornare lentamente alla sua eterna distrazione, al suo genio disordinato, al suo destino di memoria breve. Perché Napoli resta così: meravigliosa e crudele, pronta a inchinarsi davanti ai suoi grandi, ma sempre troppo distratta per custodirli quando camminano ancora per le sue strade.