Non teme il tempo che passa “L’ispettore Generale” di Nikolaj Gogol. La farsa caustica del 1836, nata da un’idea suggerita al drammaturgo russo dall’amico Puškin, è riemersa in tutta la sua potente attualità alla prima del Teatro Bellini grazie all’adattamento e alla regia di Leo Muscato, con un Rocco Papaleo straordinariamente efficace nei panni del Podestà.
Sostenuto da un cast affiatato completato da Elena Aimone, Giulio Baraldi, Letizia Bravi, Marco Brinzi, Michele Cipriani, Salvatore Cutrì, Marta Dalla Via, Marco Gobetti, Daniele Marmi, Mauro Parrinello, Michele Schiano di Cola e Marco Vergani, lo spettacolo onora la lungimiranza di Gogol, che ambienta la sua trama in una piccola cittadina senza nome.
Una località sperduta e corrotta fino al midollo, dove ogni funzione pubblica si traduce in uno scambio illecito e ogni privilegio si regge sul fragile equilibrio della menzogna. Per sfuggire alla censura, l’autore colloca questa satira feroce in un non-luogo lontano, dove si potevano raggiungere i confini dell’Impero solo “cavalcando senza sosta per tre anni”.
Tuttavia, quel microcosmo di arrivisti e cortigiani assume facilmente le sembianze di una realtà ben più vicina e universale, attraversando con impietosa lucidità i secoli e le latitudini. Leo Muscato coglie con intuito l’essenza del testo gogoliano, trasformando la commedia in una macchina scenica in cui il riso si fa amaro, in cui l’assurdo tocca vertici metafisici e ogni risata diventa un ghigno di inquietudine.
La trama, fondata su un equivoco tanto semplice quanto devastante – lo scambio di un giovane viaggiatore per un ispettore statale inviato dallo zar – è orchestrata con ritmo impeccabile, in un crescendo grottesco di sotterfugi, mazzette e umiliazioni. Rocco Papaleo, nel ruolo del Podestà, offre una splendida performance, mescolando il suo inconfondibile umorismo a un’ironia tagliente che mette a nudo l’ipocrisia del potere.
La sua interpretazione conferisce una profondità quasi tragica a un personaggio che, dietro l’apparente comicità, rivela tutta la miseria morale di chi si aggrappa disperatamente ai propri privilegi. Con il suo carisma naturale, Papaleo domina la scena, dando vita a un Podestà tanto esilarante quanto inquietante, simbolo di un’arroganza senza tempo e di una corruzione dilagante.
Accanto a lui, l’intera compagnia si muove come un meccanismo perfettamente oliato, incarnando una galleria di maschere deformate dal vizio e dall’opportunismo. Gli attori oscillano tra il tragico e il comico, restituendo l’ambiguità gogoliana di personaggi che si credono potenti e invulnerabili ma che, in realtà, si rivelano grotteschi e patetici.
Con le luci orchestrate da Alessandro Verazzi, le scene girevoli di Andrea Belli costruiscono un universo claustrofobico e decadente, un labirinto in cui si aggirano anime perse e meschine, mentre le musiche di Andrea Chenna amplificano la tensione emotiva e l’assurdità delle situazioni.
I costumi di Margherita Baldoni, contribuiscono a rendere ancora più vividi e riconoscibili quei personaggi che sembrano usciti direttamente dalle pagine di Gogol per raccontarci, con un linguaggio sorprendentemente moderno, i mali eterni del potere e della burocrazia. Muscato dimostra una padronanza assoluta del testo e una capacità spiccata di dialogare con l’opera originale, senza tradirne lo spirito ma attualizzandone il messaggio.
“L’ispettore Generale” diventa così una dura critica sociale, mostrando l’uomo nella sua natura più vile e ridicola, ma anche nella sua disarmante vulnerabilità. A distanza di quasi due secoli, l’opera di Gogol al Teatro Bellini, si conferma un capolavoro senza tempo, capace di parlare con voce potente al pubblico contemporaneo ricordando quanto sia sottile il confine tra il riso e la tragedia, tra il potere e il nulla.