lunedì, Aprile 14, 2025

Napoli si sveglia tardi. È morto Roberto De Simone, l’ultimo cantore delle sue radici

Addio a Roberto De Simone. Con lui si spegne una voce unica e irripetibile, quella che custodiva — come pochi altri — il mistero profondo dell’identità napoletana.

È sempre la stessa Napoli. Quella Napoli antica e irrisolta, capace di amare follemente i suoi figli solo dopo averli dimenticati. Quella che si risveglia tardi, quando il silenzio della morte prende il posto dell’indifferenza della vita. È la Napoli che Raffaele Viviani aveva già marchiato a fuoco nei suoi versi di “Campanilismo”, e che oggi torna a mostrarsi in tutta la sua contraddizione più dolorosa, davanti alla scomparsa di Roberto De Simone.

Una notizia arrivata come un colpo secco, improvviso, dritto al cuore. Un addio che sa di rimorso e di consapevolezza tardiva. Perché con De Simone non se ne va soltanto un intellettuale, un musicologo, un regista, un compositore, un antropologo. Con lui si spegne una voce unica e irripetibile, quella che custodiva — come pochi altri — il mistero profondo dell’identità napoletana. La Napoli arcaica, quella delle radici popolari e delle alchimie colte, quella dei riti contadini e dei drammi da cunto, perde oggi il suo più grande interprete e, forse, il suo ultimo vero custode.

Roberto De Simone. Una notizia arrivata come un colpo secco, improvviso, dritto al cuore. Un addio che sa di rimorso e di consapevolezza tardiva. Perché con De Simone non se ne va soltanto un intellettuale, un musicologo, un regista, un compositore, un antropologo. Con lui si spegne una voce unica e irripetibile, quella che custodiva — come pochi altri — il mistero profondo dell’identità napoletana.

Perché Roberto De Simone era tutto questo: un artista totale, un uomo di pensiero e di teatro, un poeta del suono e del gesto, un narratore del sacro e del profano. E nella storia della cultura partenopea la sua assenza peserà come pesarono, nei secoli, le scomparse di giganti come Paisiello, Cimarosa, Jommelli. Ma De Simone era anche un moderno Giambattista Basile: visionario e rigoroso, popolare e raffinatissimo, capace di trasfigurare il mondo antico in arte universale.

Aveva 91 anni. E si è spento nella sua casa di via Foria, a Palazzo De Gregorio di Sant’Elia, dove era tornato da poche settimane, dopo il ricovero all’Ospedale dei Pellegrini per problemi respiratori che lo avevano provato nel corpo, ma non nel suo spirito forte e lucido fino all’ultimo. Ieri sera, 6 aprile, poco dopo le 21, circondato dall’affetto discreto e silenzioso della sorella Giovanna, del nipote Alessandro e di chi gli è rimasto accanto fino all’estremo respiro, se n’è andato. Forse accompagnato — nell’intimità di quella stanza che gli era cara — da un’eco lontana di voci antiche, di cori contadini, di una tammorra battente, di un canto arcaico come quelli che aveva raccolto e restituito al mondo.

Mercoledì 9, alle 16, nel Duomo di Napoli, si terranno i funerali. E già si preannuncia una folla devota e mesta, pronta a tributargli quei riconoscimenti solenni che, per un crudele gioco del destino, troppo spesso gli erano stati negati in vita proprio dalla città alla quale aveva dedicato la sua esistenza intera.

Negli ultimi anni, infatti, Roberto De Simone aveva conosciuto sì premi, onori ufficiali e celebrazioni, ma anche incomprensioni, distanze e amare delusioni. Napoli, quella Napoli che pure a lui deve tantissimo, non sempre era riuscita a stargli accanto come avrebbe meritato. Lo aveva lasciato spesso solo, osservatore appartato e dolente di una realtà che andava sempre più lontano dalle sue visioni alte e pure. Eppure, oggi, in questa giornata di dolore, la città sembra ricordarsi — forse troppo tardi — che senza Roberto De Simone Napoli è infinitamente più povera. Perché con lui se ne va un patrimonio inestimabile di cultura, di sapere, di arte, di memoria. Se ne va il creatore della Nuova Compagnia di Canto Popolare e l’artefice di capolavori come “La Gatta Cenerentola”, “La Cantata dei Pastori”; “Mistero Napolitano”, “L’Opera buffa del Giovedì Santo, “Le tarantelle del Rimorso, “La Lucilla Costante”. E soprattutto se ne va un modo unico di raccontare l’anima nascosta e profonda di un popolo.

Un popolo che lo saluterà per l’ultima volta, in un abbraccio corale che sa tanto di rimpianto.

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