giovedì, Maggio 8, 2025

Fortuna all’italiana: viaggio tra gesti scaramantici e tradizioni senza tempo

La scaramanzia, dietro questa parola si cela un universo affascinante, un crogiolo di storia, folklore e credenze che merita un tuffo divertente e curioso.

Ammettiamolo, che ci piaccia o no, noi italiani abbiamo un rapporto speciale, quasi viscerale, con la scaramanzia. Sotto sotto (ma spesso neanche troppo), siamo un popolo che si affida volentieri a piccoli gesti, rituali quasi inconsci e oggetti carichi di speranza per ingraziarsi la Dea Bendata o, più semplicemente, per tenere alla larga la proverbiale “sfiga”. Sono tic, abitudini, piccole manie che costellano le nostre giornate, spesso ereditate dai nonni o assorbite dal contesto culturale in cui viviamo, al punto da non farci quasi più caso.

Eppure, dietro questi gesti si cela un universo affascinante, un crogiolo di storia, folklore e credenze che merita un tuffo divertente e curioso. Preparate amuleti e talismani, stiamo per esplorare alcuni dei più diffusi (e a volte bizzarri) rituali portafortuna del Bel Paese!

Il grande minestrone dei portafortuna: santi, divinità pagane e consigli della nonna

Ma da dove salta fuori tutta questa “roba”? La risposta è un allegro e complesso miscuglio culturale. Nella scaramanzia italiana si fondono, in un intreccio spesso inestricabile, elementi della religione cattolicareminiscenze del paganesimo greco-latino, leggende tramandate oralmente e quella saggezza popolare tipica delle diverse regioni. Un mix esplosivo che ha generato pratiche uniche.

L’esempio più lampante, l’icona indiscussa di questo sincretismo, è Sua Maestà il curniciello napoletano. Rigorosamente rosso, a forma di corno, preferibilmente fatto a mano e soprattutto regalato. Le sue origini affondano nel mito greco, ma per “attivarlo” e renderlo efficace contro il malocchio, la tradizione vuole che venga donato recitando una preghiera che invoca una schiera di santi. Un perfetto esempio di come sacro e profano danzino insieme.

E che dire del numero 13? Universalmente temuto, in alcune tradizioni italiane diventa fortunato grazie all’associazione con Sant’Antonio, il santo della buona sorte. Non c’è da stupirsi che Napoli sia considerata la capitale indiscussa della superstizione e della creatività anti-jella: un vero laboratorio a cielo aperto di pratiche scaramantiche.

Tra sale versato e dita incrociate: piccoli gesti per grandi speranze

Ma la scaramanzia non si limita alle grandi occasioni o agli amuleti da tasca; è una compagna costante, che si manifesta in una miriade di piccoli gesti e divieti quotidiani, una sorta di manuale non scritto per navigare le insidie della malasorte. Prendiamo ad esempio lo specchio: amico fidato per controllare il look, ma potenziale fonte di guai se trattato con poca cura.

Fin dall’antichità si credeva riflettesse l’anima tanto che romperlo significava, secondo i Romani, garantirsi ben sette anni di sventura. E non provate a dormirci davanti, perché molte culture lo considerano un portale verso altri mondi: meglio evitare visite notturne inaspettate!

Anche la cucina è un campo minato: se per sbaglio si versa il sale, il rimedio immediato è gettarne un pizzico dietro la spalla sinistra. Va anche peggio se a cadere è una fiala d’olio, data la sua valenza quasi sacra: si rischiano anni di sfortuna. E il pane, cibo per eccellenza, va trattato con il massimo rispetto: guai a metterlo capovolto sulla tavola, è un gesto che porta malissimo, anche perché spesso viene benedetto con un segno di croce prima della cottura.

Questa costante ricerca di protezione e buona sorte si amplifica enormemente quando entra in gioco la speranza di una vincita. Qui la scaramanzia raggiunge vette altissime! Il gesto più universale è senza dubbio incrociare le dita, una piccola croce portatile per invocare la protezione divina o semplicemente un po’ di fortuna. Ai tavoli verdi, specialmente quelli da poker, è tassativamente vietato contare le vincite mentre la partita è ancora in corso: oltre a essere un segno di debolezza, è considerato un potente catalizzatore di sfortuna.

Esistono poi rituali più particolari, come quello di strofinare un biglietto della lotteria sulla pancia di una donna incinta, unendo così la speranza di vincita alla simbologia potentissima della fertilità e dell’abbondanza futura. Quante volte vi sarà capitato di vedere il signore anziano al bar fare il gesto delle corna sottobanco o toccare furtivamente un ferro di cavallo (o qualsiasi oggetto metallico a portata di mano) prima di grattare il suo biglietto? È un classico intramontabile, un’immagine quasi folkloristica!

Certo, forse le generazioni più giovani oggi preferiscono affidarsi alla dea bendata tentando la sorte con i gratta e vinci online, ma potete star certi che un piccolo, personalissimo rito scaramantico prima di fare clic sul pulsante “gioca” non se lo nega quasi nessuno.

San Silvestro: la notte più importante per tentare la fortuna

Se c’è un momento dell’anno in cui la scaramanzia diventa quasi obbligatoria, è la notte di San Silvestro. L’inizio di un nuovo ciclo è l’occasione perfetta per mettere in atto tutte le strategie possibili per assicurarsi 365 giorni di fortuna, salute e prosperità. A tavola, le lenticchie sono immancabili, tradizionale simbolo di denaro e ricchezza futura.

Direttamente dalla Spagna arriva invece l’usanza di mangiare dodici chicchi d’uva, uno per ogni rintocco della mezzanotte, per garantirsi abbondanza in ogni mese dell’anno nuovo. Le coppie che desiderano un figlio, invece, dovrebbero condividere un melograno, antico e potente simbolo di fecondità e prosperità.

Insomma, dai gesti più piccoli alle tradizioni più elaborate, i rituali portafortuna sono intessuti nel tessuto culturale italiano. Sono l’espressione di un bisogno ancestrale di trovare un senso, di esercitare un minimo di controllo sull’imprevedibile, di sperare anche quando la ragione suggerirebbe altrimenti.

Che ci si creda fermamente o che li si pratichi con un sorriso scettico all’insegna del “non si sa mai”, queste usanze rappresentano un patrimonio affascinante, un modo colorato e profondamente umano di affrontare le incertezze della vita. In fondo, come recita il famoso detto, “non è vero, ma ci credo”. E finché ci aiutano a sperare o semplicemente a strapparci un sorriso, ben vengano!

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